Questi insetti sono in grado di apprendere comportamenti che non possono sviluppare da soli. Qualcosa che si riteneva possibile solamente per la nostra specie

 

L’evoluzione ci ha dotato di un cervello relativamente voluminoso ed estremamente complesso. È normale quindi immaginare che sia un prerequisito fondamentale per lo sviluppo dei alcune delle più raffinate capacità umane. Non sempre è così: sempre più spesso, infatti, la ricerca sta dimostrando che alcune abilità ritenute in passato appannaggio della nostra specie, sono ben più comuni del previsto nel mondo animale. Persino per chi possiede un cervello microscopico come quello degli insetti. L’ultimo esempio arriva dai ricercatori della Queen Mary University di Londra, che in uno studio pubblicato su Nature hanno indagato le capacità di apprendimento sociale dei bombi (Bombus terrestris), rivelando che in alcuni casi rivaleggiano con quelle umane.

Come nasce la cultura

Guardando all’arsenale cognitivo della nostra specie, la vera arma segreta che più ci distingue da tutte le altre specie viventi è probabilmente la nostra cultura, intesa come capacità di accumulare conoscenze e comportamenti appresi socialmente, cioè osservando quel che fanno gli altri esseri umani o grazie a qualcuno (o qualcosa, nel caso di un libro) che ce li insegna. Questa capacità, in effetti, ci permette di non ripartire da zero nella nostra vita, e di costruire le nostre conoscenze sulle spalle di quelle accumulate dalle generazioni precedenti.

Per lungo tempo si è pensato che la cultura fosse una capacità prettamente umana, ma negli ultimi anni è stato dimostrato che molte specie possiedono tradizioni locali che vengono tramandate da una generazione, alla successiva. Uccelli e cetacei, ad esempio, mostrano inequivocabilmente una forma di evoluzione culturale nelle loro canzoni, che crea dialetti locali e si contaminazioni al pari di quanto accade nelle lingue umane.

La cultura umana

Non tutti, ovviamente, sono disposti ad accettare l’idea che la cultura umana sia solo quantitativamente diversa da quella animale. Gli esseri umani – lo dicevamo – hanno intere biblioteche piene di trattati di scienza, artefilosofia, che compendiano millenni di scoperte. Gli animali, dal canto loro, tramandano varianti locali di canti corteggiamento, l’utilizzo di semplici attrezzi per stanare larve e formiche (comune in molte popolazioni di grandi scimmie), trucchetti come lavare le patate dolci nell’acqua marina per renderle più gustose (un celebre esempio frutto dell’intuizione del macaco giapponese Imo).

Per descrivere la differenza sostanziale tra questi due universi culturali, è stato proposto di guardare al grado di innovazioni necessarie per sviluppare un determinato comportamento appreso culturalmente: la specie umana, in questi termini, sarebbe l’unica in grado di apprendere socialmente comportamenti che per essere creati da zero richiederebbero di effettuare un numero di scoperte (o innovazioni) impossibili nell’arco della vita di un singolo individuo. È per testare i limiti di questa definizione, quindi, che nasce il nuovo studio che ha per protagonisti i bombi.

I bombi

La ricerca è basata su un esperimento che ha coinvolto diverse colonie di bombi e un puzzle in due step, in cui solo spingendo nella giusta sequenza due divisori colorati gli insetti potevano avere accesso ad una ricompensa zuccherina. L’ipotesi degli autori è che il rompicapo sia abbastanza complesso da non essere risolvibile casualmente dagli insetti, perché la ricompensa si ottiene a distanza eccessiva di tempo dall’esecuzione del primo dei due compiti necessari per raggiungerla, e per questo non può agire da rinforzo per l’apprendimento dell’intera sequenza comportamentale.

Per accertarsene hanno lasciato i bombi nella sala del rompicapo fino ad un totale di 72 ore (un terzo del tempo totale che questi insetti trascorrono a raccogliere nettare nella loro vita). E alla fine della fase di prova, nessun bombo è riuscito, effettivamente, a risolvere il puzzle per conto proprio. A questo punto, un operatore umano ha iniziato ad addestrare i singoli bombi alla soluzione del rompicapo, utilizzando come rinforzo, nelle fasi iniziali dell’addestramento, una ricompensa ottenibile anche dopo la rimozione del primo dei due divisori colorati.

La sequenza di operazioni appresa al termine dell’addestramento era quindi un comportamento che i bombi non avrebbero mai potuto scoprire da soli nella propria vita. Era quindi tempo di verificare se gli altri insetti fossero in grado di apprendere la sequenza osservando i bombi addestrati dall’uomo. E in effetti, le cose sono andare esattamente così: guardando gli insetti addestrati, gli altri hanno velocemente imparato a risolvere il rompicapo, senza bisogno di rinforzi aggiuntivi da parte dei ricercatori. “Questi risultati – scrivono gli autori dello studio – mettono in dubbio un’opinione comune in questo campo di ricerca: e cioè che la capacità di apprendimento sociale di comportamenti che non possono essere sviluppati attraverso l’innovazione per tentativi ed errori sia qualcosa di unicamente umano”.

Umano, non umano

Uno studio uscito in concomitanza con quello sui bombi, pubblicato in questo caso su Nature Human Behaviour, ha ottenuto risultati paragonabili studiando un gruppo di scimpanzé. Almeno queste due specie, quindi, sono capaci di apprendere e tramandare comportamenti troppo complessi per essere sviluppati da un singolo esemplare. Nessuno dei due esperimenti è stato svolto in un ambiente naturale, e quindi è impossibile dimostrare che qualcosa del genere sia mai accaduto al di fuori di un laboratorio di ricerca. Ma se non altro, lascia ipotizzare che alcuni dei comportamenti più complessi che si osservano in natura possano essere il frutto di un’evoluzione culturale cumulativa, alimentata dai traguardi raggiunti da rari innovatori, che vengono poi appresi e tramandati anche dal resto della popolazione. Al pari, più o meno, di quanto avviene nella nostra specie.

Quel che è certo, è che la lista di capacità ritenute erroneamente uniche della nostra specie è in costante crescita: dalla cultura, alle capacità matematiche, fino a quelle di comunicare, sono tutti esempi di abilità ben più comuni in natura di quanto si credesse. Secondo Alex Thornton, esperto di evoluzione e scienze cognitive dell’università di Exeter, è il sintomo di una tendenza degli esseri umani a sovrastimare costantemente le proprie capacità cognitive, in relazione a quelle degli altri animali, e a cercare (probabilmente sbagliando) un “proiettile d’argento”, cioè qualcosa di semplice come una determinata capacità o qualità, che distingua in modo univoco la nostra specie da tutto il resto del regno animale.

Questa ricerca suggerisce che l’abilità di apprendere dagli altri quello che non possiamo apprendere da soli deve ora raggiungere l’utilizzo di strumenti, la memoria episodica (cioè l’abilità di ricordare specifici eventi nel passato) e la comunicazione intenzionale, nella pila di proiettili d’argento ormai scartati”, conclude a proposito Thornton, in un articolo di commento uscito sulle pagine di Nature.

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