Le immissioni intollerabili derivanti da fumi, odori di frittura e sughi, possono comportare una condanna per risarcimento danni e anche inquinare la fedina penale

Sono tante le situazioni che ingenerano conflitti in condominio o, più generalmente, tra vicini, e che finiscono il più delle volte per approdare innanzi ai giudici.
Tra queste controversie meritano un posto di rilievo le vicende “olfattive”, ovvero quelle che riguardano odori di diversa natura che arrecano disturbo al vicini.

Odori culinari intollerabili

Secondo Anammi, l’associazione nazional-europea degli amministratori di immobili, tra le “puzze” meno tollerate emergono gli odori culinari (fumi, odori di frittura, sughi e spezie varie e così via). Si stima che circa il 35% dei litigi in Condominio in tema di immissioni, rientrino in tale dalle immissioni infatti è da addebitare a questa macrocategoria. A scatenare la lite “è la mancanza di adeguato impianto di aerazione”.
Tali effluvi, spesso oggetto di lite, possono avere conseguenze particolarmente gravose per chi non prende le misure opportune di areazione: non solo vedersi costretti a risarcire i danni, ma addirittura un’imputazione penale.

Odore di cucina e risarcimento del danno

Recentemente il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 15818/2019, ha condannato i proprietari di un monolocale a risarcire ai vicini il danno per gli olezzi provenienti dalla propria cucina. La sostituzione della cucina a GPL con un piano cottura elettrico con cappa annessa, non aveva avuto gli effetti sperati.
Dal piccolo appartamento (30 mq), privo di affacci su strada e di finestre in grado di assicurare il ricambio d’aria, si propagavano olezzi intollerabili (ex art. 844 c.c.) nell’androne del palazzo e negli appartamenti vicini. Decisiva la valutazione del CTU che porta il magistrato a condannare gli inquilini dell’appartamento.
La situazione dell’appartamento impone di inibire l’uso degli impianti di cottura, almeno fino a quando non vengano installati i sistemi di ventilazione indicati dal Consulente Tecnico, a spese dei proprietari, e realizzate le opere necessarie nelle parti comuni dell’edificio, con il consenso dei proprietari degli spazi interessati

La liquidazione del danno

La condotta di chi, ex art. 844 c.c., provoca esalazioni intollerabili che si ripercuoto sui vicini, dovrà risarcire il danno qualora sia superata la soglia della normale tollerabilità, valutata caso per caso dal giudice, valutata anche la condizione dei luoghi. L’autorità giudiziaria, infatti, dovrà contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e potrà tenere conto della priorità di un determinato uso.
Chi ha proposto l’azione legale potrà ottenere il risarcimento del danno patrimoniale, ad esempio in caso di perdita di valore subita dall’immobile, ma anche non patrimoniale. Nel caso di specie, il giudice capitolino ritiene necessario liquidare il danno alla vicina che ha dovuto subire le propagazioni intollerabili per oltre tre anni.
Nel dettaglio, la liquidazione del danno non patrimoniale viene determinata, secondo criteri equitativi e tenendo conto delle apposite tabelle, nella misura di un terzo dell’inabilità temporanea assoluta giornaliera prevista per le menomazioni all’integrità psicofisica. Inoltre, poiché le propagazioni non necessariamente avvenivano tutti i giorni e in maniera ininterrotta, si limita l’arco temporale nella misura dei quattro quinti.

Immissioni nocive: è reato

Ma c’è di più. Oltre al risarcimento, l’immissione molesta provocata dagli odori della cucina può addirittura costare una condanna per il reato di cui all’art. 674 del codice penale. Tale norma prevede che sia punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a 206 euro chiunque provoca emissioni di gas, vapori o fumo che molestano le persone oppure nei casi non consentiti dalla legge.

Nella sentenza n. 14467/2017, la Corte di Cassazione ha dichiarato colpevoli i proprietari di un appartamento in condominio che avevano provocato continue immissioni di fumi, odori e rumori molestando i vicini.
La contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., precsa la giurisprudenza, è configurabile anche nel caso di “molestie olfattive” a prescindere dal soggetto emittente, con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 del codice civile.

Superamento normale tollerabilità

Gli Ermellini hanno confermato la condanna ex art. 674 c.c. anche nella vicenda decisa con la sentenza numero 45225/2016. Nella specie, la condanna è ricaduta sulla proprietaria di una pizzeria in quanto i cattivi odori generati dalla cottura delle pizze sono stati ritenuti insopportabili, in grado di insinuarsi nelle stanze degli appartamenti e percepibili anche a finestre chiuse, come verificato dalla CTU.

In particolare, la Cassazione ha rammentato che le immissioni diventano insopportabili superato il limite della normale tollerabilità, ovvero la capacità di sopportazione dell’uomo medio. La tollerabilità andrà accertata sulla base di una valutazione oggettiva che prescinde dalle situazioni personali e soggettive.
E in caso di immissioni intollerabili, il giudice potrà imporre la predisposizione di misure opportune (antirumore, antinquinamento, ecc.) e ove non bastasse imporre che tali immissioni debbano cessare del tutto.